
Gatsby scintillante e fragoroso: da Cannes 66 la recensione del film di Baz Luhrmann
Il Grande Gatsby ha aperto ieri il Festival di Cannes e ha dato il La alla critica cinematografica più spietata. Probabilmente nel 2013 non poteva esserci titolo migliore di Gatsby per dare inizio a Cannes 66, e non poteva esserci regista migliore di Luhrmann per illuminare sfarzosamente la kermesse. Per questa ragione, per l’illustre cast, e per il roboante risalto pubblicitario del film in uscita proprio oggi, è difficile scrivere una recensione de Il Grande Gatsby che sia grandemente condivisa.
La storia de Il Grande Gatsby riprende in modo abbastanza coerente la trama dell’omonimo romanzo di Fitzgerald. Nel 1922, fra dissolutezza, jazz, proibizionismo e sfavillante ricchezza, Nick Carraway (Toby Maguire) si trasferisce a New York e prova ad inseguire il successo a Wall Street. Presto Nick conosce il proprio vicino di casa Gatsby, un ricco, ambizioso, brillante e affascinante Leonardo Di Caprio, e viene trascinato nel mondo lussuoso e sfrenato dei ricchi e potenti della città. Gli anni ’20 saranno sfondo di sfarzose feste, di sordida corruzione e traffici illeciti, ma soprattutto dell’impossibile e travagliata storia d’amore tra Gatsby e Daisy, cugina di Nick (Carey Mulligan).
Il Grande Gatsby è un film in 3d in cui ogni piccolo aspetto è amplificato, esasperato, reso pomposo ed eccessivo: le feste, l’amore, gli accessi d’ira, la ricchezza e la povertà. Leonardo Di Caprio nei panni di Gatsby è fiammeggiante e sfaccettato; Toby Maguire è un osservatore sensibile e stordito; Carey Mulligan eterea e accattivante, come il suo personaggio. Il 3d affascina e coinvolge durante le feste a ritmo di musica contemporanea. La colonna sonora è potente e molto bella.
Il film è una sfida, la sfida pop kich del regista Luhrmann a suo agio nella vibrante atmosfera dei ruggenti anni ’20: tuttavia, come tutte le sfide, non è privo di pecche che ne indeboliscono il risultato. Nelle intenzioni di Luhrmann, Il Grande Gatsby non è un film che appare come un prodotto dell’epoca: il problema è che la perfetta ambientazione e scelta degli abiti stride con la colonna sonora che, se pur strepitosa, lascia lo spettatore stranito. Quello che funzionava perfettamente in Moulin Rouge, in Gatsby produce l’effetto opposto e invece di rendere la storia “senza tempo”, la isola forse un po’ troppo freddamente. Inoltre Luhrmann è un regista di certo bravo, ma per questo un po’ troppo compiaciuto in un montaggio a volte barocco e artificioso.
Questa recensione de Il Grande Gatsby tocca solo una parte dell’imponente maestosità dell’opera di Luhrmann che certamente rispecchia per molti aspetti lo stile potente e superb di Fitzgerald. Il mio consiglio è di andar a vedere Il Grande Gatsby al cinema e di scoprire quale corda in voi è più scossa da questa storia: la storia di un uomo Gatsby e della sua romantica ossessione ricoperta di paillettes, perline e musica pop.
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